Naturalia
Riflessi del vero: la ricreazione del reale nell’arte di Zeno Filippini
Cos’è reale?
Da quasi due secoli con l’avvento della tecnologia fotografica, nelle sue varie manifestazioni, riteniamo che sia reale ciò che vediamo in foto, o in video.
Pensando all’arte classica, per esempio ai grandi pittori fiamminghi, abbiamo l’impressione che già loro esprimessero una rappresentazione accurata della realtà.
Ma senza giungere agli stilemi fortemente mentali di iconografie precedenti – si pensi alle dita incredibilmente affusolate nella pittura bizantina o ai volti e ai corpi sicuramente poco naturali in Giotto ed antecedenti – la pittura classica non è mai stata la copia precisa del reale, quanto invece una sua idealizzazione frutto di una percezione formale collettiva, un modello appartenente a un preciso ambito culturale.
Grazie all’intelligenza artificiale ora possiamo renderci conto di quanto non dovremmo essere certi che anche una foto o un video fungano da testimonianza sincera e verificabile. Questo per me è un bene: abbiamo purtroppo svilito il medium fotografico e video da una funzione artistica nel momento in cui lo impieghiamo quotidianamente – grazie al cellulare – per usarlo come annotazione rapida e “pigra” del reale.
Fratello di un noto fotografo, e come lui nipote del grande pittore e scrittore Felice, Zeno Filippini è giunto all’arte anche tramite l’amore per la natura e le scienze naturali. Dall’età di 34 anni si è concentrato sul disegno e nell’arte grafica. La sua produzione si è orientata su grandi disegni a china, dipinti e installazioni, ma proprio come nella ricerca sulle tecnologie ha continuato a esplorare nuove tecniche e materiali. Sono peculiari, per esempio, i suoi disegni realizzati con inchiostro reattivo ai raggi ultravioletti.
In questa personale Zeno Filippini espone opere tratte da buona parte della sua ricerca artistica condotta dal 2011 ad oggi. Ognuno degli spazi messi a disposizione dal Comune di Bioggio è caratterizzato da specifici temi e tecniche.
L’esposizione, intitolata Naturalia, circoscrive il tema della natura attraverso una rilettura apparentemente iperrealistica, ma in effetti più ampia. Zeno stesso li ha definiti “riflessi del vero”. Essa si apre con quelli che forse sono gli estremi del suo lavoro attuale. Vediamo piccoli pastelli in cui paesaggi svizzeri visti dal treno – questa serie si chiama Heimat – sono necessariamente ripresi rapidamente in tratti gestuali e sintetici. Ma nella stessa sala d’ingresso lo sguardo corre a una grande opera: uno dei suoi My tree a china, lavoro in cui si rivela subito la maestria di Filippini.
Un’attenzione al particolare, ma a un particolare deducibile più dai suoi studi – sia quelli scientifici che gli studi preparatori, i disegni di dimensione minore anch’essi esposti – che dal reale. Per esempio, la dimensione data ai noduli delle radici e la forma di queste hanno un che di teorico: vi rintraccio la volontà di evidenziare i luoghi delle reazioni chimiche che permettono l’esistenza della flora e di rimando anche la nostra. In una vetrina troviamo non solo una bella acquaforte, ma anche la lastra di rame che l’ha originata e gli strumenti usati per incidere: una guida pratica a una delle tecniche preferite da questo artista, ed è sempre piacevole per lo spettatore conoscere come nascano le opere.
Salendo al piano superiore incontriamo lungo le scale disegni di media dimensione apparentemente meno realistici. Questi intrecci tra elementi vegetali a prima vista mi sono parsi delle insegne, quasi delle bandiere di “pirati del bosco”: in effetti in esse spicca una funzione decorativa e immaginativa. Come in My tree, essendo anch’io un amante della matematica e della geometria, ho l’impressione che le forme di queste fronde, e di quelle radici, seguano la “formula della bellezza”: la ricorsività
che il grande matematico affetto da discalculia Mandelbrot scoprì nelle linee di costa, ma anche in una foglia o in un albero – la formula dei frattali.
Il corridoio di sinistra dà uno spazio più ampio ai pastelli piccoli e icastici della serie Heimat.
In quello di destra viviamo un’altra epifania: acqueforti in cui appare l’affascinamento dell’autore per la timidezza delle chiome, il fenomeno per cui alberi che sembrano imperturbabili e a volte centenari rimangono lievemente discosti dagli altri, nel concorrere a raccogliere i raggi solari.
Troviamo anche visioni a 360 gradi “dal lato delle radici”, quelle che potremmo avere se coscienti, dopo l’inumazione in un bosco. Assolutamente peculiare di questo artista è la complessità, la precisione del tratto nei bozzetti qui esposti, realizzati a grafite prima d’incidere le tavole.
I grandi alberi solitari ritornano, troneggiano nella sala comunale. Filippini prosegue la sua ricerca con differenti mezzi e materiali: da un disegno a penna – una delle prime tecniche per tanti artisti – a una china su seta, fibra prodotta dai bachi i cui bozzoli sono qui ingigantiti, non così differenti dai noduli delle radici contorte.
Simili opere eclatanti meritano la nostra attenzione. Questi lavori di Zeno Filippini vanno guardati sia da lontano che da vicino, così come altri devono essere visti sia con luce normale che con gli ultravioletti.
È il caso delle opere esposte nella saletta dove vengono celebrate le nozze.
L’uso simultaneo di china e di inchiostro reattivo ai raggi UV evidenzia ulteriormente la sottigliezza nel tratto di questo artista. L’esito ha molto di tecnologico, e Filippini nelle opere dal titolo enigmatico Radiobotanica appare sensibile all’estetica del disegno tecnico, in cui abbandona la tentazione realistica per un’esplosione immaginifica di geometrie fatte di lamina d’oro e campiture composte dall’inchiostro UV.
Riccardo Lisi, 15 marzo 2025