Sismogrammi di una vita
Je ne suis pas dans l’infini,
parce-que dans l’infini
on n’est pas chez soi.
Gaston Bachelard
Il realismo come sfida all’assoluto. Come racconto del vissuto: la “moralità”di un’opera d’arte-scriveva Henry James nella prefazione di “Ritratto di signora”-dipende dalla quantità di vita sentita e impiegata nel produrla. Ed eccoci dunque alla faticosa genesi dei dipinti di Mario Comensoli, all’intuizione dell’immediato così come si manifesta quando la mano prova a raccontare la realtà con la sola mediazione della matita, del carboncino. Per poi arrivare, magari dopo infiniti tentativi, all’opera compiutamente immaginata nel proprio intimo. “Dipingere-ha lasciato detto Comensoli- è un’impresa difficile. Significa passare da una crisi all’altra. Un quadro è la somma di tante crisi.” Il problema può essere raccontato in altro modo: “ Il disegno di un artista come si è rivelato essere Comensoli – scrive Bruno Corà nel recentissimo catalogo di Artrust (“Da quell’istante: angeli, demoni, vite in gioco nell’opera di Comensoli” Edizioni Salvioni 2014) – è la misurazione di un evento fatto passare attraverso l’esperienza profonda della coscienza, che ne ha giudicato l’entità e rinvenuto entro di sé la traccia autentica per comunicarla al mondo”. E allora guardiamoli bene questi disegni esposti a Bioggio che vanno dall’immediato dopoguerra su su fino alla morte dell’artista, avvenuta mezzo secolo dopo: è un percorso travagliato che si sviluppa partendo da una ricerca formale all’ombra dei maestri del postcubismo. Da qui si passa a un ripudio totale dell’insegnamento accademico per cogliere con fatica i segni distintivi della realtà (e siamo alla felice scoperta di un mondo trascurato, quello degli emigranti), per poi affrontare la complessità di una società schizofrenica, dilaniata al suo interno, fino alle estreme conseguenze dei paradisi artificiali dai quali si sprigiona un sentore di morte. Tecnicamente queste trasformazioni profonde, queste scosse telluriche si manifestano in modo molto trasparente: disegni accurati, ordinati, che tradiscono il reiterato tentativo di cogliere la perfezione quasi geometrica delle forme, in un primo tempo. Carboncini densi, con figure sempre più mosse plastiche e connotate, nel tentativo di raggiungere effetti anche melodrammatici, in un secondo tempo. Un ritorno alla sintesi e alla leggerezza nell’intreccio di figure e di simboli, consegnati nervosamente e furtivamente ai fogli con l’affacciarsi del 68. E poi, via via, la riscoperta del disegno non più come opera progettuale ma come lavoro definitivo, di piena dignità formale e contenutistica, che non ammette titubanze, mezze misure, indulgenze nel tratto e nel racconto. E nelle ultime opere, quelle sul mondo dei “no future”, dei “punk”, è come se Mario Comensoli non volesse più staccarsi dal disegno che gli serve per approfondire la dimensione del dramma: “i grandi ritocchi, i disegni a carboncino tracciati sopra l’acrilico a sottolineare, a precisare, a fermare, quasi fosse una sinopia di “conclusione “ e non “di progetto”- ha scritto Pietro Bellasi in occasione della recente mostra di Villa dei Cedri a Bellinzona- concorrono a superficializzare la rappresentazione e le sue componenti, a esaltarne direi otticamente la bidimensionalità; quasi a eliminare, ma certamente ad affievolire volumi, spessori, pesi, profondità, prospettive.”
E’ qui dunque che si raggiunge la perfetta simbiosi tra segno grafico e dipinto, ed è qui che si conclude il tormentato percorso dell’ artista di origine ticinese. Nell’omaggio tributato in terra luganese al suo pittore, la Fondazione Comensoli ha insistito su un aspetto inedito della sua opera grafica: una serie di disegni che con acribia e grande dedizione Mario Comensoli aveva eseguito per illustrare l’Ascensione di Maria nella Cappella sangallese di Schwendi. Quell’affresco venne fatto cancellare da un parroco privo di sensibilità artistica nel 1972 in occasione di un restauro della chiesa, e non sono rimasti quindi che poche testimonianze grafiche di quell’ opera straordinaria. Disegni che indicano la passione di Comensoli per un progetto alla cui realizzazione, studiando l’ambiente rurale e schizzando le figure dei contadini destinati a fungere da comparse, aveva lavorato intensamente per lunghi mesi.
Mario Barino