La mostra di Malù Cortesi presenta diverse opere recenti che si rifanno al legame che unisce l’artista alla nostra regione e, in particolare, all’Onsernone. Dagli antichi ricordi che egli conserva di questa valle, sua terra origine da parte materna, nascono i colori, le forme e i supporti delle pitture esposte. Una serie di lavori molto interessante e che saprà senza dubbio suscitare l’interesse
del pubblico.
L’artista
Malù Cortesi nasce a Locarno il 24 luglio 1958. Dopo il diploma di decoratore progettista, conseguito alla Csia di Lugano (1978), frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera diplomandosi nel 1982. Dal 1980 dipinge ed espone con regolarità in tutta la Svizzera. Malù possiede una personalità vivace, irrequieta e poliedrica caratterizzata anche da una forte inclinazione per il sociale. Infatti, dal 1982 al 1999 lavora in diversi ambiti sociali, conseguendo nel contempo la formazione di operatore sociale.
Dapprima svolge la sua attività in un laboratorio protetto e in un Foyer con persone portatrici di handicap psicofisici, in seguito con giovani tossicodipendenti e casi sociali e infine in una clinica per anziani e pazienti gravemente ammalati. Dal 2000 al 2006 ha insegnato educazione visiva e si è occupato di ragazzi “difficili” nelle scuole medie e alla CSIA di Lugano dove è pure stato mediatore scolastico. Dal 2007 al 2014 oltre che alla CSIA ha insegnato alla Scuola In-Oltre presso il penitenziario La Stampa come docente di attività creative con detenuti adulti e nel settore dei minorenni. Dal 2015 insegna pure nelle scuole speciali di Minusio.
Presentazione di Pierre Casè
Caro Mario, permettimi di rivolgere il mio contributo al giovane sessantenne con il suo vero nome. Tra altro non ho mai capito chi ti abbia affibbiato il nomignolo di Malù in antitesi a quello che tu sei, caparbio, aitante e crapulone.
Se volevi che parlassi delle tue opere ti sei preso un bel granchio. Non sono critico d’arte e quindi non autorizzato a sproloquiare davanti le tue pitture.
Non oserei mai inviperire e far torcere il naso ai veri critici d’arte, soprattutto a quelli nostrani, e rubar loro la scena e le forbite parole con le quali fanno le cosiddette critiche. Malfidati quando senti quelle parolone che invece di avvicinare all’arte la distanzia. Ma ti assicuro che tutti gli ”ismi” a volte vengono usati perché nulla d’altro sanno dire.
No, tenterò di fare il ritratto di Mario sui ricordi del bambino e le sue scorribande in Piazza Sant’Antonio e in via Borghese al Locarno. Ricordo papà Franco, falegname carpentiere e mamma Nini, santa donna che tribolava a gestire l’esuberanza tua e di tuo fratello Giorgio.
Poi ti ho ritrovato allievo in quel di Trevano e allo CSIA-centro scolastico industrie artistiche per parecchi anni durante la tua formazione di decoratore-espositore. Parlo degli anni Settanta, allora ero docente in quella scuola quando era ancora la Scuola della Creatività. Diretta dal compianto Pietro Salati, vero motore di quel cenacolo dove si formavano giovani dediti all’arte applicata nelle professioni.
Erano anni dove la progettazione si faceva ancora con la testa e , soprattutto, si usava ancora la vecchia matita oggi ritenuta una reliquia perché si progetta tutto a computer e con il “plotter”. Pensa che la professione oggi si chiama designer 3D.
Certo erano anni difficili. La contestazione degli studenti da noi approdò un paio d’anni più tardi. Era il tempo del proliferare delle prime droghe. Lo CSIA veniva additato come rifugio di giovani problematici. Ti garantisco, e nessuno ha mai voluto dirlo, nel Ticino di allora non esistevano ancora Laboratori protetti o strutture simili che si occupassero di questi giovani e allora era il Cantone stesso, tramite il dipartimento preposto a inserirli allo CSIA. Fu una grande e difficile esperienza per noi docenti e per voi allievi convivere, impreparati, con questa problematica. Superammo questa fase e tu, da allievo stranamente diligente ottenesti con impegno e caparbietà il diploma federale di abilitazione professionale. Mi rammento che una delle tue doti fu proprio quella della creatività. La forma, il colore e l’inventiva erano le espressioni che ti erano congeniali.
Poi che dire dell’innamoramento con una tua compagna di corso, Paola, che divenne poi tua moglie e madre dei tuoi figli.
Stranamente, quando c’era la lezione di sviluppo del materiale grafico a livello fotografico in camera oscura, l’abbinamento di coppie, guarda caso, era prevalentemente vostra prerogativa.
È di quegli anni anche il ricordo della tuo rifiuto del servizio di leva militare. Fosti uno dei primi obbiettori di coscienza del cantone. Subisti un processo con relativa condanna da parte di un tribunale penale militare. La tua pena la espiasti al carcere della Stampa. Intervenni presso il direttore per ottenere che durante la cosiddetta “ora d’aria” avresti avuto l’autorizzazione a raggiungere l’aula di calcografia dello CSIA per poterti esprimere artisticamente. Mi ricordo che dopo un paio d’incontri, ottenni l’autorizzazione a prenderti in consegna per praticare questa espressione artistica.
È di quegli anni il tuo interesse per la pittura e la tua frequentazione dell’Accademia delle Belle Arti a Brera, Milano. La forma, il colore e il materiale divennero ben presto il tuo mezzo espressivo che subito risultò ben più che un hobby. Ti sei confrontato anche tu con il fatto che per fare la nostra professione devi esercitarne un’altra per poter sopravvivere.
Agli inizio di questo ritratto ti ho dipinto come un crapulone. Per fortuna, è grazie a questa caratteristica non hai mollato e a tutt’oggi per vivere fai il docente, ironia del caso, proprio allo CSIA e insegni le basi per quella professione nella quale per anni mi sono pure io impegnato.
Però la tua vera vocazione è quella dell’artista pittore. Difatti le esposizioni si sono susseguite, mi ricordo la prima al museo Onsernonese dove ebbi il piacere di presentarti nel lontano 1984.
Poi la tragedia vissuta con la morte di tua figlia Chiara scomparsa nel 2002 per un tumore. A memoria creasti al Monte Verità quello splendido Mandala con tessere di mosaico.
Questa perdita ti ha segnato profondamente e ancora oggi ringrazi quell’ancora di salvezza che è la pittura.
Ora, l’ultima tua creazione ce l’abbiamo davanti agli occhi ed è una certezza del tuo attaccamento al dipingere.
Caro Mario, credo di aver portato a termine il tuo ritratto, ah no, manco un sopracciglio, ho dimenticato di dire che ti sei anche impegnato insegnando ai giovani il nuoto pinnato e impegnandoti nel ciclismo amatoriale e, dulcis in fundo, con tuo figlio Nadir stai riscoprendo le radici onsernonesi partecipando a corsi di lingua dialettale indigena.
Adesso, per tua confessione, posso svelare anche il perché del nome Malù: tua madre Nini quando fu incinta era convinta che la creatura attesa fosse una femmina. Scelsero il nome di Maria Luisa. Alla nascita la sorpresa e Maria Luisa divenne per te Malù che non fu accettato dall’Ufficio anagrafe e ti registrarono col nome Mario. Ma per tutti sei se sempre stato Malù.
Ora mi sembra più o meno completo il ritratto, sicuramento ho dimenticato qualche importante attività di una persona eclettica come te e per il momento ti auguro il successo che meriti.
Ciao Mario Malù
Pierre Casè, maggia febbraio 2019