02 Giugno 2023, 18:30
Bioggio, Casa comunale

 Nell’ambito della programmazione culturale promossa dal Comune di Bioggio

è presente presso la Casa comunale di Bioggio

 

l'esposizione di Felice Filippini: l’opera grafica
Verso la leggerezza del segno

 

inaugurazione venerdì 2 giugno 2023, ore 18:30

dal 2 giugno all'8 ottobre 2023


ORARI

lu 16.00 - 19.00
gio 11.00 - 14.00
ma/me/ve 09.45 - 11.45

 

su appuntamento e informazioni:
tel. 091 611 10 50 / 076 616 91 31

 

Le esposizioni sono come sempre sostenute da Banca Raiffeisen Malcantonese, AIL SA e Tenuta Bally & Von Teufenstein Vezia.

Felice Filippini, l`opera grafica

Verso la leggerezza del segno

 

Trentacinque anni sono passati dalla scomparsa dell’artista e cinquantacinque dalla mostra Felice Filippini; l’opera grafica alla galleria Tonino di Campione d’Italia, tematicamente ripresa da questa al Municipio di Bioggio.

Eros Bellinelli in occasione della mostra campionese aveva notato che l’artista ha avuto un moto sussultorio nella sua produzione grafica che appare improvvisamente in primo piano, scompare per un’intera stagione, poi prorompe di nuovo. Corrisponde questo modus operandi al carattere più intimo dell’artista, sempre disposto alla sperimentazione nelle sue tecniche pittoriche e a percorrere strade inedite nei soggetti svolti, condotto da una furia espressiva che volentieri è stata considerata nel nostro cantone provocante e anche, in qualche modo, scandalosa.

La sua disponibilità per l’opera stampata ha origini lontane fin da quando al collegio Papio di Ascona, contribuì, allievo di Giovanni Bianconi con silografie all’illustrazione del giornale scolastico, primo concreto segnale di una vocazione artistica che stava nascendo.

Quando nella seconda metà degli anni Trenta torna alla linoleografia, vedono la luce tavole quali Introspezione (1936), un autoritratto, Cristo (1938) che mostra le stigmate, Profilo (1939) che ancora si allineano alla tecnica silografica del tempo, tecnica che annoverava in Ticino diversi autorevoli interpreti dal già citato Bianconi, a un poco dimenticato Gastone Cambin, al prezioso Ubaldo Monico e soprattutto Ugo Cleis e Aldo Patocchi che godevano di una fama nazionale.

Alle soglie del nuovo decennio alla figura saffianca il paesaggio, così nel Giocatore di carte (1938) e nel corso del periodo bellico le silografie diventano racconto. In Il concerto di Guerra (1940), La paura (1940), ne Il soldato morente (1941), una drammatica attualità si confronta col mito, con echi arcaici e simboli lontani. Compaiono una pistola accanto a un serpente su un tavolo, ponti e aeroplani verso lo sfondo, linee elettriche e ninfe danzanti in una chiave che scopriamo prossima alla metafisica, ad una visione onirica del vero.

Stilisticamente Filippini comincia ad avvalersi di un segno più sinuoso, meno rigidamente inciso nel linoleum, con linee più sottili, insistite che ammorbidiscono il segno, ma anche quel netto contrasto del bianco del nero proprio di questa tecnica di stampa, proponendo un chiaro/scuro da noi inedito, di cui emblematica è la tavola dei Giganti (1942).

Questa resa morbida del segno viene notata della critica e diventa la cifra stilistica dell’artista. Ad essa contribuisce l’uso di stampare su carta velina poi montata in cornice lasciando la parte stampata sul retro in modo che la composizione traspaia alleggerita, sgranata dalla fine trama cartacea che avvicina la silografia a quella sgranatura del segno tipica della litografia.

Girando il foglio egli recupera anche la composizione originale che non risulta più speculare rispetto alla matrice su cui ha lavorato.

Nascono così tavole quali La Polenta (1944), Festa campestre (1944), tematiche riconducibili alla sua scrittura, in particolare al Signore dei poveri morti, che era apparso nel 1943.

Filippini in questo periodo illustra con le sue silografie anche diverse pubblicazioni, fra cui Menschen di Vinicio Salati nel 1943, Le coup de pistolet, la bourrasque di Aleksandr Puškin nel 1946, Le journal d’un homme de trop di Ivan Tourgueniev nel 1947.

Egli diventa uno dei principali esponenti della cultura del cantone, una collocazione ulteriormente sancita da nuovi romanzi quali Racconti del sabato sera del 1947, il Ragno di sera del 1950, vincitore del Premio Schiller, e dalla sua nomina a direttore del servizio parlato alla Radio della Svizzera italiana nel 1949.

Quando negli anni Cinquanta torna alla silografia nascono nuove tavole quali La stanza (1954) che contiene molta di quella specula immaginifica che l’avrebbe seguito ancora per oltre trent’anni nella sua produzione, dai nudi, alle figure distese, dall’abbraccio, alle montagne di cani. Filippini confessa qui uno dei suoi lati più intimi, quell’ossessione formale che porterà Pierre Courthion nel 1971 a dare il titolo Felice Filippini, pittore dell’espressione drammatica a quella che rimane forse la principale monografia a lui dedicata.

Alla fine del decennio l’artista abbandona la tecnica silografica per la litografia, anche per la collaborazione con la stamperia Veladini di Lugano. Crea tavole quali il Micio rosa (1958) e Le finestre (1962). Successivamente sperimenta la tecnica serigrafica con tirature che si basano su disegni, quali Cristo (1967), L’uomo e la terra (1967), memore del capolavoro del Cristo morto di Hans Holbein, al Toro (1967). Queste stampe portano volentieri, accanto alla firma, l’iscrizione di esemplare unico in quanto, come nella Pop Art, ogni tavola varia nella resa coloristica del fondo.

Un’ ultima tappa segna l’attività grafica del pittore: le fotolitografie edite in occasione dell’uscita della monografia curata dall’editore CISAF nel 1977. L’operazione, da considerarsi poco fortunata, voleva rendere accessibili le opere dell’autore ad un pubblico vasto secondo i canoni del tempo di un’arte che doveva essere popolare.

Quest’ultimo approccio segna la fine della sua attività nella grafica stampata alla soglia dell’ultimo decennio della sua vita.

 

 

Paolo Blendinger

 

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