Un pomeriggio con Sibilla
Vado a trovare Sibilla un pomeriggio di fine gennaio. Da noi si dice che questi siano i giorni più freddi dell'anno, i giorni della merla secondo una leggenda. Ma primule e camelie, apparse qua e là, dicono che la primavera quest'anno è in anticipo; e la primavera è una stagione che dovrebbe piacere a Sibilla. Anche se i fiori delle sue opere non sono sempre graziosi messaggeri di bellezza ma, spesso, portatori d'inquietudine.
Paul Nizon, noto scrittore e storico dell'arte, alla presentazione di una delle prime mostre di Sibilla affermò che i soggetti della sua pittura riflettono la personalità della pittrice come un "diario intimo". E aggiunse che i temi preferiti da quest'artista non sono semplici variazioni di motivi vegetali, ma si traducono spesso in presenze ricche e enigmatiche, talvolta abissali.
Lo studio di Sibilla si trova al secondo piano della casa di Tremona, casa che lei abita da tanti anni insieme con Peter Rüedi, il biografo di Dürrenmatt. È lassù che mi accoglie, in abiti-lavoro, con il suo sorriso luminoso. Dalle finestre dello studio s'intravedono quei colli che già affascinarono altri artisti di origine nordica che qui avevano preso dimora a metà del secolo scorso: Max Weiss, Peter Keller, Max Marti i primi nomi che mi vengono in mente.
Adesso Sibilla, agile nonostante l'età, sposta e mi mostra opere di grande e piccolo formato. E il mio sguardo corre dai quadri alle foglie aguzze delle palme, inquadrate dalla finestra. Ho l'impressione che ci sia qualcosa di aguzzo, aspro, mordace anche in certe opere che vedo, in quelle pennellate tracciate con vigore sulle tele. Con vigore appassionato: passionalità, infatti, mi sembra una delle cifre di quest'arte, che ha mantenuto la freschezza giovanile. Anzi, direi, la sua pittura è migliorata: come migliora certo vino, quand'è buono, con il passare degli anni.
Ma cosa sono queste macchie di colore purpureo, violaceo, bianco, azzurro che mi sfilano davanti come in un caleidoscopio? Giacinti, glicini, violacciocche? Che importano le specie! Alla domanda:"Che fiore vorrebbe essere?", la pittrice alcuni anni fa ripose: "Mi piacerebbe essere un fiore bianco o blu, tenero, un po' misterioso". E adesso, qui in questo studio alto sui tetti del paese, mi dice, sorridendo con occhi grigioverdazzurri :"La prima parola che ho pronunciato, quando ho cominciato a parlare, pare sia stata Blüemli: così mi diceva sempre mia mamma..."
Sibylle Heusser si è fatta conoscere come artista, in Svizzera e in Italia, nel corso di diverse esposizioni. Mi limito qui a ricordare le mostre ticinesi tenute al Torchio di Balerna, al Ristorante Montalbano di Stabio e nell'Atelier Irene Weiss di Tremona.
Sibilla: nel nome è racchiuso il destino. La poesia muta di quest'artista ha qualcosa di sibillino, oscillante tra grazia e graffio, inquietudine ed erotismo, carezza e sconvolgimento. Le verità affidate al vento dalle Sibille della mitologia antica non sempre erano accondiscendenti e carezzevoli. Così come le forme e i colori di Sibilla artista non sempre ci blandiscono; ma sempre ci emozionano, ponendoci delle domande. Ed è proprio questo che caratterizza l'arte, quand'è autentica.
Alberto Nessi, febbraio 2024